Giovanni Fattori (Livorno 1825 – Firenze 1908)
Giovanni Vincenzo Fattori nasce a Livorno il 6 settembre 1825 ultimo di quattro figli, da Giuseppe, modesto artigiano originario di S. Marcello Pistoiese e Lucia Nannetti, donna di buon cuore mediante la quale il giovane Fattori acquisisce quella semplice sobrietà che caratterizzerà tutta la sua vita. Il padre, che dopo avere lasciato la nativa Pistoia come cardatore di canapa aveva trovato maggior fortuna in una delle botteghe del mercato di Livorno e successivamente come mediatore di commercio nello stesso ramo, permette al giovane di far parte di una classe sociale piuttosto vivace e abbiente ma più che per gli affari, a differenza del fratello Rinaldo che aveva intrapreso l’attività di canapino, il ragazzo presenta già dagli anni dell’infanzia un’attitudine straordinaria per il disegno. Avviato dunque agli studi artistici intorno al 1840, ha come maestro l’appena venticinquenne Giuseppe Baldini, dal quale nei suoi scritti sostiene di avere imparato “poco o nulla” , che si era formato sui dettami puristi di Tommaso Minardi all’Accademia di S.Luca a Roma e aveva aperto a Livorno una scuola privata presso il teatro dei Floridi in S. Marco.
Nel 1845 il giovane lascia Livorno per trasferirsi a Firenze a studiare pittura, inserendosi da subito nel circolo liberal-guerrazziano e impegnandosi nel 1848 nella diffusione di stampa clandestina per il partito d’azione, mentre nel ‘55 inizia a frequentare coetanei della stessa estrazione sociale animati da vivi sentimenti democratici che avevano iniziato a radunarsi in una soffitta di via Nazionale a leggere Guerrazzi e Foscolo; a Firenze, oltre ad esercitare la sua attività clandestina, grazie ad una raccomandazione accorata del poeta Giuseppe Giusti per desiderio dell’amica Giuseppina Chiti di Brescia, diventa allievo alla prestigiosa scuola privata di Giuseppe Bezzuoli anche se, figlio di gente del popolo e semi-illetterato, fatica a conquistarsi uno spazio nel bel mondo del’aristocrazia fiorentina del quale lo stesso Bezzuoli era uno degli esponenti più in vista.
“Firenze mi ubriacò- scrive l’Artista- vidi molti artisti, ma nulla capivo: mi parevano tutti bravi e io mi avvilii tanto che mi spaventava il pensiero di dover cominciare a studiare.”
Lasciati gli insegnamenti privati del Bezzuoli per iscriversi ai corsi diretti dallo stesso all’Accademia come afferma nelle sue memorie:”fu uno studio che non concludeva nulla..Eravamo quattro alunni in una stanza e si dipingevano teste dipinte dal professore.(…) mi decisi ad entrare nella Accademia di Belle Arti”, si rivela lo scolaro più sovversivo e stravagante, mosso da un’irrequietezza giovanile e un fervore che lo spinge ad uscire dalle maglie di un mondo che lo soffoca e nel quale non riesce a sentirsi a suo agio; all’Accademia, oltre alla scuola Superiore di Pittura del Bezzuoli e alla scuola libera del nudo del Pollastrini, segue gli insegnamenti di T. Gazzarrini (elementi) e del suo assistente Servolini (disegno delle statue), di E. De Fabris (prospettiva) e L. Paganucci (anatomia), ottenendo un profitto tutt’altro che brillante ritenendo inutile studiare la storia dell’arte “per fare l’Artista” ma pur non essendo un letterato scriverà nelle sue memorie che l’arte gli stava “addosso senza saperlo”.
Tra il 1847 e il 1850 Fattori trae copie dagli antichi maestri, ottiene l’autorizzazione di studiare e copiare gli affreschi di Andrea Del Sarto nella Chiesa della Santissima Annunziata e partecipa alle varie prove previste nei corsi d’Accademia senza ottenere risultati particolarmente soddisfacenti.
La sua vivacità giovanile si esprime a pieno nelle allegre e goliardiche riunioni presso il Caffè Michelangiolo di Via Larga, dove a partire dai primi anni ’50 si riuniscono assiduamente artisti e patrioti e dove partecipa assieme ad altri pittori alla decorazione delle pareti della saletta privata con un Trovatore oggi disperso. A Livorno aderisce alla società segreta dei Progressisti le cui riunioni erano presiedute dal Guerrazzi fondata da Enrico Bartelloni che nell’assedio austriaco alla città del 1849 si mostra fra gli irriducibili in prima linea contro la restaurazione granducale.
Non abbiamo nulla di significativo dell’attività di Fattori in questo periodo nel quale alcuni frequentatori del Caffè iniziano a recarsi nella campagna toscana a dipingere “sul vero”; tra il ’53 e il ’54 si dedica anch’egli allo studio di paesaggio, secondo la consuetudine diffusa tra i giovani artisti e si reca a dipingere all’aria aperta in compagnia del fiorentino Andrea Gastaldi anche se l’unico quadro degno di nota è un Autoritratto datato 1854 eseguito all’età di 29 anni conservato a Palazzo Pitti dall’impostazione ancora accademica e bezzuoliana; sempre in quell’anno Fattori incontra la donna che sposerà nel 1860 in prime nozze, Settimia Vannucci.
Nei paesaggi degli anni ’50 infatti, si nota una cifra descrittiva vicino al paesaggismo storico di Massimo D’Azeglio a cui il Gastaldi era molto interessato, mentre nei disegni è presente già una pittura più libera vicino a quella della cosiddetta “Scuola di Staggia” di Carlo Markò; vicino ancora al gusto pollastriniano è il quadro noto soltanto dalle fonti ma che sappiamo compiuto dal Fattori alla fine del ’55 Elisabetta regina d’Inghilterra nell’atto di consegnare al Cardinale Arcivescovo il giovane Duca di York, dove la scena storica in costume è rappresentata in modo aneddotico e narrativo, l’Ildegonda tratta dalla novella di Tommaso Grossi, esposta alla Promotrice del ‘55 e fino al ’61 prosegue a esprimere la sua vena purista e di taglio accademico nell’opera Maria Stuarda al campo di Crookstone, conservata presso la Galleria d’Arte Moderna di Firenze e tratta dall’opera l’Abate di W. Scott.
Nonostante l’impostazione ancora accademica mantenuta nei suoi quadri fino al ’58 circa, Fattori subisce il fascino delle novità sul ton gris, portate da Serafino De Tivoli e Domenico Morelli al Caffè Michelangiolo al loro ritorno dall’Esposizione Universale di Parigi del ’55, e aderisce a una nuova concezione del fare pittura basata sulla resa del “vero”, al chiaroscuro della “macchia”, nel quale trova una modalità di espressione differente rispetto al violento e provocatorio chiaroscuro proprio dei primi frequentatori del Caffè nei primi anni ’50; nel ’59, affascinato dalla rivoluzione patriottica, grazie al passaggio del corpo della spedizione francese di Girolamo Napoleone attraverso Livorno, di cui fanno parte reparti di zuavi e turchi, ha la possibilità di dipingere delle piccole impressioni sul “vero” e abbozzare schizzi sui suoi tipici taccuini direttamente dal vivo degli accampamenti dei soldati francesi, alla ricerca della resa di un “realismo migliore”, un realismo maggiormente sintetico rispetto a quello degli altri suoi colleghi, come si vede in Soldati francesi del ’59, tre soldati, accampamento. Anno di svolta dunque il ’59 per Giovanni Fattori, anno in cui Nino Costa dopo avere visitato il suo studio in Piazza Barbano a Firenze ed avere visto i taccuini lo spinge ad abbandonare il quadro storico in costume che stava realizzando, Clarice Strozzi intima ad Ippolito ed Alessandro de’ Medici di partire da Firenze e a cimentarsi in opere dal “vero” e di storia contemporanea, volgendolo a dare inizio a quella prosa militare rigorosa tipica dei suoi quadri di battaglia che lo porta a vincere nello stesso anno il famoso concorso indetto dal governo Ricasoli con la commissione del dipinto Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta che eseguirà dal ’60 al ’62 e che sarà esposto alla Promotrice Fiorentina nello stesso anno ; la serie prosegue poi nel ’60 con Garibaldi a Palermo, nel ’62 con La carica di cavalleria a Montebello (o Battaglia?), nel ’63 con Garibaldi ferito ad Aspromonte e gli studi intorno al passaggio del Mincio, nel ’64 con Fanterie italiane alla Madonna della scoperta.
Nella primavera del ’63 la malattia della moglie Settimia, affetta da tubercolosi polmonare, lo costringe a lasciare Firenze per tornare a Livorno dove, proprio grazie alla solitudine e all’isolamento dall’ambiente fiorentino raggiunge una piena maturità e un’intensità lirica ed espressiva altissima sia nelle scene militari (Artiglieri in manovra e Pattuglia di cavalleria) che nella ritrattistica dove raggiunge una profonda introspezione psicologica dei personaggi: Ritratto della prima moglie del ’64-’65, La cognata, La signora Mecatti Gori.
Anche nel paesaggio del periodo ( Pasture del ’63, L’Arno alle cascine, I pagliai, La porta rossa ) e nelle scene di vita e di lavoro nei campi ritorna l’elegiaca ispirazione dell’Artista livornese nella metodica e serena operosità delle contadine come nelle famosissime Macchiaiole e Acquaiole livornesi del ’65-‘66 . Nel ’67 ad appena 31 anni viene a mancare la giovane moglie e quasi per compensarne la perdita e placare la profonda afflizione dell’animo nelle opere di fine anni ’60 fuoriesce un inatteso slancio di felicità e una nuova linfa vitale, forse dovuto al fatto di potere eseguire una tela magistrale da tempo desiderata che diventerà in seguito uno dei suoi quadri più celebri, Assalto a Madonna della Scoperta, grazie al concorso Berti bandito nel ’66 per l’esecuzione di dipinti storici di grandi dimensioni, e al sodalizio di lavoro con il giovane Boldini che lo avvicina al bel mondo borghese delle famiglie più in vista della città portandolo ad eseguire opere dalla cifra mondana brillante, squisita e seducente, e a ritrarre con colori accesi signore che si riparano dal sole sulla spiaggia o che conversano amabilmente (Rotonda di Palmieri, La signora con l’ombrellino, la signora al sole). Nel luglio del ’67 Fattori viene ospitato dall’amico Diego Martelli nella sua tenuta di Castiglioncello insieme al gruppo di artisti che daranno luogo alla cosiddetta “Scuola di Castiglioncello”, quali Abbati, Sernesi, Borrani, Signorini e Cabianca; durante la sua permanenza e i ripetuti soggiorni, tra il ’67 e il ’71, acquista un posto preminente svolgendo le tematiche che saranno motivo centrale della sua opera successiva: la natura dei buoi e la concretezza della vita quotidiana (Raccolta del fieno in Maremma, Riposo in Maremma), cavalli bradi (Cavalli in Tombolo, Criniere al vento, Tre cavalli bradi in pastura) piccoli ritratti degli amici all’aperto eseguiti con tecnica modernissima (Diego Martelli a Castiglioncello, Valerio Biondi, La signora Martelli) e piccoli studi di paesaggio (Pineta di Castiglioncello, Le botti rosse, Olivi sulla marina).
Il fervore patriottico non lo abbandona e nel ’68 partecipa alle manovre di Fojano della Chiana dirette da Nino Bixio; nel passaggio dall’opera poeticamente perfetta dell’Assalto alle opere militari successive vediamo un’attenzione diversa verso gli aspetti più quotidiani della vita militare, l’Artista è colpito dai momenti anti-eroici del soldato, dai suoi momenti di sacrificio e disillusione, e ritrae con fervida partecipazione e gusto per l’aneddoto i soldati fuori dai ranghi d’ordinanza nell’opera Accampamento d’istruzione a Fojano, noto soltanto attraverso una fotografia ottocentesca. Nel ’69 viene nominato professore corrispondente dell’insegnamento di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze e nel ’72, dopo il ritorno da un viaggio a Roma, esegue Mercato di cavalli in piazza Montanara a Roma, composizione molto complessa che comprende ben ottanta figure tra uomini ed animali, premiato in seguito all’Esposizione di Vienna del ’73 e a quella di Filadelfia del ‘76, che egli ritenne come uno dei suoi dipinti meglio riusciti noto purtroppo soltanto da riproduzioni fotografiche; dal ’72 inizia inoltre a frequentare la villa di campagna di Francesco e Matilde Gioli a Vallospoli presso Fauglia dove dipinge Ragazza che cuce in giardino, Vallospoli, La signora Gioli a Fauglia, mentre nel ‘75 si trasferisce a Parigi per visitare il Salon insieme agli amici Francesco Gioli, Egisto Ferroni e Niccolò Cannicci, ospite dell’amico Federico Zandomeneghi, dove rimane per poco più di un mese, traendo qualche suggestione senza mostrarsi particolarmente attratto o impressionato dalle novità della pittura impressionista tranne che per il solo Manet. In questi anni si fa strada in lui l’attrazione verso una visione sintetica della realtà, capace di cogliere il senso profondo di ogni cosa sia nei piccoli ritratti rivolti alla quotidianità che nel paesaggio dove la veduta in lontananza cede il passo all’esplorazione di angoli di natura più nascosti e meno conosciuti. L’apice di sintesi visiva arriva con il suo quadro militare di maggior impegno, Il quadrato di Villafranca, detto anche Battaglia di Custoza, eseguito dal 1876 al 1880, nel quale mette pienamente a frutto l’esercizio espressivo già attuato negli anni precedenti, acquistato nel 1883 per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Una fugace passione durata tre anni dal 1880 al 1883 per la giovanissima istitutrice di casa Gioli, la diciannovenne Amalia Nollemberger, rinnova la sua vena creativa e lo spinge verso una pittura idillica dalla quale sgorgano sentimenti affettuosi e di profonda tenerezza (Sosta alle cascine, Coperte rosse, Viale alle cascine, Gotine rosse); costretto a troncare la sofferta relazione, fautrice di dissapori con la famiglia Gioli, l’Artista abbandona la campagna livornese per rivolgersi ad altri luoghi che diverranno testimoni della sua poetica futura, la tenuta della Marsiliana presso Grosseto, dove già era stato ospitato dal principe Tommaso Corsini nel 1882 e dove conosce la realtà selvaggia e rurale dei butteri, un capitolo a parte delle sua produzione, poi Varramista presso Castel del Bosco a Pontedera, dove un discendente dei Capponi imparentato con i Corsini, il marchese Paolo Gentile Farinola teneva la residenza estiva, infine S. GODENZO nel Mugello, ospite dell’amico Gustavo Pierozzi.
Nasce in Fattori un nuovo gusto del paesaggio (La libecciata, Il pagliaio,Cavallo al sole) una nuova partecipazione alla vita della natura, una visione più disincantata e amara di un mondo naturale che non conserva più nulla di idillico, ma che si presenta rude e talvolta crudele, nelle impressioni raccolte alla tenuta della Marsiliana (Testa di puledro, Prateria, Cavalli alla greppia) e a Varramista (l’Aratura,Lo spaccapietre, Case di contadini, I battitori a Correggiato, La raccoglitrice di foglie, Trecciaiola toscana, Contadino seduto). Negli anni ’80 dunque, grazie alla suggestione di queste esperienze e di questi luoghi assai proficui per la sua rinnovata produzione artistica, si appassiona all’illustrazione sociale, ai costumi contadini, ai potenti butteri, tematiche che tornano nella Marcatura dei puledri in Maremma del 1882 esposto alla mostra di Venezia nel 1887, Il mercato a S. Godenzo in Mugello, presente all’Esposizione di Belle Arti a Roma all’inizio dell’83 premiato nel 1889 a Colonia e insignito di menzione d’onore all’Esposizione Universale di Parigi, il carro rosso dell’85, fino al bellissimo Riposo dell’87.
Oltre ad insegnare presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze come professore onorario, negli anni ’80 contribuisce all’educazione pittorica delle giovinette di buona famiglia, conquistandosi in tal modo la benevolenza di quella aristocrazia fiorentina che in passato l’aveva sempre disdegnato.
Dal 1883 Fattori si accosta con grande profitto al linguaggio peculiare dell’acquaforte, nel quale il segno inciso e scavato delle sagome essenziali si compone in un estremo rigore formale e grande abilità tecnica. Alla realizzazione di acqueforti il pittore si dedica con intensa applicazione e passione, considerandole lo strumento più adatto a rendere l’atmosfera di aspro e pessimistico naturalismo di quegli anni; grazie ad esso, raggiunge una nuova libertà d’espressione ottenendo diversi riconoscimenti tra i quali la nomina a membro della Commissione per l’indirizzo artistico della Calcografia nazionale tra il 1901 e il 1905.
Alla fine degli anni ’80 e inizi ’90, esegue un gruppo di dipinti pervasi da intensa luminosità: Testa di contadina, Nel bosco, L’uliveta a Careggi, L’uomo nel bosco, Bersagliere.
Nel 1891 sposa Marianna Bigazzi Marinelli, che frequentava già da tempo, per facilitare, con la formalizzazione dell’atto, le nozze dell’adorata figliastra Giulia con il pittore uruguayano Domingo Laporte; la donna morirà nel ’93 lasciandolo tra le braccia della futura terza moglie, l’amica di lei Fanny Martinelli, due donne alle quali Fattori dedicherà i suoi ultimi intensissimi ritratti, (Ritratto della seconda moglie, ritratto della terza moglie), oltre a quello per Giulia considerato uno dei capolavori della ritrattistica ottocentesca. Nel 1893, già avanti nell’età, esegue il grande dipinto Mandrie maremmane e sempre in quegli anni il celebre Autoritratto realizzato nel suo studio; dal 1895 comincia a partecipare regolarmente alle Biennali Veneziane e si dimostra particolarmente attivo, ottenendo grande consenso da parte del pubblico anche internazionale, esponendo a Berlino nel ’96, nel ’97 a Dresda e nel 1900 a Monaco e a Parigi. Agli inizi del nuovo secolo esegue cavallo morto, Mandriana trascinata da bove infuriato e altri dipinti improntati da una vena patetica, e intorno al 1907, dopo il matrimonio con Fanny Marinelli, realizza ancora importanti opere quali I Carbonai, Campagna livornese, Dintorni di Antignano fino alla sua ultima produzione Dopo la battaglia, Paesaggio con torrente, Ultime pennellate e il pastello Cavallo bianco.
Negli ultimi anni della sua vita svolge anche l’attività di illustratore di opere letterarie: la vita Militare di Edmondo De Amicis nel 1891, I promessi sposi nel 1895, La Divina Commedia nel 1900 e il Don Chisciotte di Cervantes.
Muore a Firenze il 30 agosto 1908 assistito dall’allievo Malesci che aveva nominato suo erede universale, dopo avere formato intere generazioni di artisti di notevole valore tra i quali Oscar Ghiglia, Plinio Nomellini, Mario Puccini, Guglielmo Micheli, Ruggero Panerai.
Gli vengono tributati funerali solenni e la sua salma viene trasferita a Livorno e sepolta nel Famedio di Montenero.
…..Nelle continue oscillazioni del dopoguerra, tra svalutazioni ed esaltazioni, la critica non ha tuttavia, a mio avviso, affrontato appieno la molteplicità di significati e valori necessari ad una comprensione esaustiva del lavoro di Fattori, le cui sfaccettature offrono complessità di angolazioni e ricchezza di sfumature tali da renderne ardua e difficoltosa un’analisi sistematica. “Solo l’arte stavami addosso senza saperlo, né ancora lo so.”, scrive emblematicamente il pittore, esprimendo così il senso profondo del suo essere artista, quel suo modo istintivo ed intenso di indagare la realtà nelle sue infinite manifestazioni, in un rapporto diretto con le cose che si fa stile.
Complessa quindi un’organica lettura critica di Fattori qualora si consideri come in lui l’impulso creativo si esprima nella interrelazione delle tante espressioni tecniche, dall’appunto al disegno, al bozzetto, al quadro finito ed all’incisione, in un processo continuo di definizioni, rimandi e riproponimenti che ne caratterizza profondamente la peculiarità dell’esperienza: opere compiute si alternano a schizzi ed appunti, ad impressioni di lastre o sintetiche tavolette con cui l’Artista coglie l’attimo fuggente di un gesto, rende il bagliore di una luce, blocca il volume di una forma, od anche schizza la scena per una vasta tela di battaglia, nella più ampia varietà e verità di temi, asciugati da retorica in un senso panteistico del reale. La sua produzione pittorica, innervata su una ricchissima attività grafica, è sostanziata in buona parte da appunti sul vero ; lui stesso lo rende noto definendosi “Scrupoloso osservatore della natura che sino da giovane studiai e tenni sempre con me un piccolo album tascabile [……] notando […..] tutto ciò che mi colpisce : questa è la mia fotografia quando faccio i quadri ! “ (1980, Errico, p. 36) Ed anche la pratica dell’ incisione, che segna buona parte dell’intera opera fattoriana si integra nella complessità di svolgimenti tematici strutturati su riprese e rimandi a disegni e dipinti ; se si analizzano le acqueforti autonomamente, senza quei puntuali riferimenti all’interezza del tessuto creativo, non è possibile coglierne appieno il senso.
“Non è facile stabilire, nell’attività di Fattori, una linea di svolgimento. Il suo lavoro infatti non procedeva per una semplice successione di sviluppo: egli, anche quando incominciava un ciclo, spesso non abbandonava il precedente, concludendolo nel corso del ciclo nuovo, per riaprirlo magari in un altro ciclo successivo ancora. Era quindi un processo complicato da ritorni, da ripetizioni, da riprese: un processo irregolare”, annota De Micheli.
Tale andamento per oscillazioni trasversali lungo l’ampio ventaglio tecnico utilizzato, presuppone una specifica ricognizione, oltre l’univocità delle discipline settoriali, anche perchè i più alti esiti dell’espressione figurativa di questo grande, complesso Artista, tratti emergenti di una poetica profondamente articolata, affiorano qua e là in un tessuto non certo unitario tra riassunti e repliche, rimandi e riproposte , in momenti diversi, anche lontani nel tempo.
Pare quindi evidente come la grandezza di Fattori sia fondata sull’interezza di un’opera ricca di valenze: il narratore dell’epopea risorgimentale va affiancato al poeta delle sintetiche, liriche tavolette degli anni Sessanta; il prosatore dei grandi quadri di butteri non va disgiunto dal cantore dell’elegia agreste di acquaiole e boscaiole; lo straordinario interprete della figura umana è da accostare al robusto disegnatore, tuttavia appare sempre più fondamentale, nel contesto di tale ricchezza d’opera, il momento riassuntivo ed intimo delle acqueforti, nel cui formato l’Artista riprende e reinventa con energia costruttiva sempre nuova i suoi temi, come asciugati dal superfluo e scavati al comune denominatore di una faticosa esistenzialità, non frammenti, ma in tutto organismi autonomi ; in lui l’incisione, invece che replicare, rende assoluta, purifica l’immagine dai riferimenti descrittivi, riconducendola ai puri valori di archetipo.